• CATALOGO
  • LIBRI
  • CODICI
  • RIVISTE
  • SERVIZI ON LINE
  • ELEARNING
  • EBOOK
  • APP
  • BANCHE DATI
  • SCUOLA DI FORMAZIONE
  • SOFTWARE
 

Il Blog di Marco Piazza

  • Home
  • Profilo
  • Pubblicazioni
  • Archivio
Postilla » Fisco » Il Blog di Marco Piazza » Commercio e fiscalità internazionale » Sulle attività oggetto di rimpatrio e di regolarizzazione

8 ottobre 2010

Sulle attività oggetto di rimpatrio e di regolarizzazione

Tweet

Gli esoneri oggettivi dalla compilazione del modulo RW da parte di coloro che hanno effettuato il “rimpatrio giuridico” di attività diverse da quelle finanziarie,  illustrati  dalla circolare 45/E del 2010 e in diversi precedenti,  non trovano solide basi nella legge.

Viene quindi da chiedersi se gli uffici delle Entrate e i magistrati tributari, nel svolgere i loro compiti, si acconteranno di applicare le istruzioni ministeriali oppure – rendosi conto che la Direzione Centrale è andata al di là della mera interpretazione della legge, ne disconosceranno la portata.

La circolare 45/E precisa – con estrema chiarezza – che:

–  per le attività oggetto  di  emersione  la  cui  dichiarazione riservata è stata presentata all’intermediario nel corso del 2009  non  deve essere compilato il modulo RW relativo alla dichiarazione  dei  redditi  per l’anno  2009;

– con  riferimento  alle   attività   rimpatriate   e/o regolarizzate la cui dichiarazione riservata è stata presentata  tra  il  1° gennaio 2010 e il 30 aprile 2010 non deve  essere  compilato  il  modulo  RW relativo alla dichiarazione dei redditi per l’anno 2009 né  quello  relativo alla dichiarazione dei redditi per l’anno 2010;

– l’esonero riguarda  tutti  i  beni  (di natura finanziaria e  di  natura  patrimoniale)  oggetto  di  operazioni  di rimpatrio,   fisico   e   giuridico;

– per le attività rimpatriate l’esonero dal modulo  RW  è definitivo semprechè, ovviamente, a seconda dei casi, le  medesime  attività siano  detenute  in  Italia  ovvero  siano  oggetto  di  deposito  custodia, amministrazione o gestione presso un intermediario residente;

– per le attività oggetto  di  regolarizzazione  l’esonero della compilazione del modulo RW non  è  definitivo  in  quanto,  permanendo all’estero, le stesse  rimangono  assoggettate  agli  obblighi  dichiarativi connessi al monitoraggio fiscale.

La ricostruzione appare estremamente pragmatica, ma se si cerca di verificare quali siano le norme che prevedono gli esoneri sopra descritti ci si trova un poco in difficoltà.

Cominciando dall’ “esonero temporaneo” (UNICO 2010 e UNICO 2011) concesso a chi abbia aderito allo scudo fiscale si nota che esso trova fondamento negli articoli 14, comma 5 e 15, comma 1 del Dl. 350 richiamati dall’articolo 13 bis, comma 5 del Dl. 78 del 2009.

L’articolo 14, comma 5 si riferisce alle “attività finanziarie rimpatriate”, mentre l’articolo 15, comma 1 si riferisce alle “attività regolarizzate” di qualunque genere; Non vi è alcuna norma che abbia concesso un esonero dall’obbligo di compilare il modulo RW per il 2009 e il 2010 con riferimento alla nuova procedura nota come “rimpatrio giuridico delle attività patrimoniali” (immobili, gioielli, opere d’arte, ecc.); per lo più attuata  attraverso il conferimento alle fiduciarie di un incarico di “amministrazione senza intestazione”.

Il rimpatrio di attività patrimoniali, infatti, non è una “regolarizzazione”, ma, appunto,  un “rimpatrio” (e quindi non si applica l’articolo 15, comma 1) e non è un rimpatrio di “attività finanziarie” e quindi non si applica l’articolo 14, comma 5. E’ vero che il legislatore del 2001 non poteva prevedere che in occasione dello scudo ter sarebbe stata inventata questa nuova tipologia di emersione, ma è anche vero che, di norma, l’applicazione per analogia di norme di esenzione è difficoltosa.

L’altro tipo di esonero previsto dalla circolare è “di sistema” e riguarda le attività date in amministrazione ad intermediari finanziari italiani. E’ previsto dall’articolo 4, comma 4 del Dl. 167 del 1990, ma – sfortunatamente – riguarda solo le “attività finanziarie” e non anche le “attività patrimoniali”.  L’estensione dell’esonero ai rimpatri giuridici di attività patrimoniali, quindi, traova fondamento solo nella prassi amministrativa, ma non nella legge.

Tanto è vero che, all’esplicito quesito posto in occasione del Telefisco 2010 («Qual è la norma di legge che esonera dalla compilazione del modulo RW coloro che hanno effettuato un rimpatrio giuridico di beni patrimoniali diversi dalle attività finanziarie (circolare 49/E del 26 novembre 2009, risposta 2.6)?», è stata data una risposta in cui non è citata alcuna norma di legge (circolare 12/E 2010, punto 7.1.).

Letture: 10557 | Commenti: 9 |
Tweet

9 Commenti a “Sulle attività oggetto di rimpatrio e di regolarizzazione”

  1. Giuseppe Gargiulo scrive:
    Scritto il 9-10-2010 alle ore 08:17

    Il caso e’ emblematico, a mio sommesso giudizio, della differenza tra disposizione e norma, in termini d teoria generale del diritto. Non vi sembra anche a voi? la disposizione e’, infatti, l’enunciato linguistico che descrive il precetto mentre la norma e’ il risultato del significato che l’interprete attribuisce all’enunciato normativo per ricavarne la regola del caso. In questa prospettiva, mi sembra che nel caso in esame non manchi la norma (che e’ possibile ricavare anche per analogia o con altra tecnica interpretava appropriata) ma solo solo la disposizione testuale che “prima facie” copra il caso in esame. Ma questa appunto e’ solo una interpretazione prima facie. Dico tutto ciò’ solo per dire, cogliendo lo spunto offerto da questo intelligente post, che nel nostro settore disciplinare mi sembra ancora molto forte la cappa al ragionamento che noi tutti ci creiamo con le nostre mani, in ossequio ad un eccessivo formalismo metodologico che a volte ci fa perdere di vista la complessità’ e ricchezza della pratica interpretativa.
    Un saluto
    GG

  2. Raffaello Lupi scrive:
    Scritto il 9-10-2010 alle ore 10:56

    Ciao Marco…hai sollevato una piccola questione, da cui si vede che le grandi questioni, in materia di tassazione attraverso le aziende, sono totalmente senza punti di riferimento. Mi riferisco al rapporto tra politica, amministrazione, legislazione e giurisdizione, alla matrice amministrativistica della tassazione etc.. Il monitoraggio fiscale è una attività da regolare amministrativamente ..se l’amministrazione dice che il rimpatrio giuridico va bene, e non avrebbe potuto fare diversamente per ragioni comunitarie, voglio vedere chi ti applica le sanzioni per mancata indicazione. Sono finalità per cui una circolare basta e avanza.

  3. Kaiser scrive:
    Scritto il 9-10-2010 alle ore 20:52

    Il problema sollevato dal dott. Piazza mi pare di non trascurabile rilevanza. Se l’obbligo di compilazione del quadro W è previsto dalla legge è del tutto evidente che solo una norma di pari grado possa stabilire il contrario. Prendere sottogamba il principio di gerarchia delle fonti può portare a delle amare sorprese. Se si vuole disciplinare tramite atti di fonte inferiore occorre prima delegificare. L’unica salvezza, di secondo grado, non potrà essere che quella dell’esimente per buona fede ma è facile rendersi conto che tutto ciò non può che esporre il contribuente al capriccio dell’amministrazione, prima, e dei giudici, poi.

  4. Giuseppe Gargiulo scrive:
    Scritto il 10-10-2010 alle ore 10:41

    Che ne pensate, senza bisogno di scomodare la gerarchia tra le fonti ,di una interpretazione analogica estensiva della disposizione sulle attività’ finanziarie rimpatriate che estenda, per “eadem ratio” l’esonero della compilazione del quadro RW anche alle altre attività’ patrimoniali oggetto di rimpatrio ….secondo il vecchio brocardo “minus dixit lex quam voluit” ?
    E’ norma procedurale quella di cui si discute per cui non vedo ostacoli ad interpretazione analogica secondo buon senso come fatto dalla Amministrazione finanziaria….
    Buona domenica
    GG

  5. Raffaello Lupi scrive:
    Scritto il 10-10-2010 alle ore 11:01

    Kaiser…non appiattiamo il diritto sulla legislazione: se il monitoraggio vuol dire “sanzione” essenzialmente, come fai a sanzionare uno che si è attenuto alle indicazioni dell’autorità? Va bene per le imposte, ma per le punizioni , andiamo..a proposito..qualcuno di voi ha notizia di procedimenti per infrazioni agli obblighi di monitoraggio, a parte una rinomata famiglia con un nome che ricorda le greggi, ma dove sembra ci siano molti ingenui pollastri e pollastrelle che mettono in piazza le loro beghe private, in modo che “tra i due litiganti il fisco gode”? Poi, sempre stando agli organi di stampa, ci sono le disavventure della famiglia aleotti, venute fuori a causa dei servizi segreti tedeschi e della lista del liechtenstein. Però a parte queste disavventure fortuite, mi pare che il monitoraggio sia stata solo una larvata minaccia, poco effettiva.

  6. davide scrive:
    Scritto il 12-10-2010 alle ore 08:18

    Uno dei tanti, troppi casi di incertezza che si potrebbero risolvere solo con il buon senso che “integra” il difetto legislativo. L’eccesso di norme e di sanzioni legate alla non osservanza della norma porta a risultati di “anarchia” dove poi ha buon gioco chi vuole utilizzare il difetto per fini particolari (denaro, carriera, ecc….). Vista la velocità del cambiamento della norma in fatto di fisco a volte dettato dalla urgenza del fare a scapito ovviamente della precisone legislativa, non pensate che sarebbe meglio derogare al principio tanto caro della parità dell’ordine della fonte del diritto!? Ossia non sarebbe bene avere nel campo tributario un principio generale che deve poi ispirare i controlli e guidare i controllori nel senso di ciò che la norma persegue nelle sue linee generali !? Questa norma in specifico (rimpatrio, regolarizzazione, scudo, condono, chiamatela come volete) ha lo scopo del riportare fisicamente in Italia i beni ecc…., allora non sarebbe forse il caso di interpretarla nel senso: chi li ha riportati non deve fare nulla nella sua Dr chi invece non li ha riportati ma li ha regolarizzati li deve indicare dall’anno successivo alla regolarizzazione senza rimpatrio ?

  7. Marco Piazza scrive:
    Scritto il 20-10-2010 alle ore 23:38

    Provo a ricapitolare in base agli spunti contenuti nei commenti, che condivido, al mio post.
    1) «Minus dixit lex quam voluit» (Giuseppe Gargiulo). Più esattamente: la legge ha detto proprio quello che avrebbe voluto (non sono regolarizzabili le attività detenute in Paesi diversi da quelli dell’Unione Europea, dall’Islanda e dalla Norvegia); solo che non poteva dirlo perchè l’articolo 63 del Trattato (“Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e «paesi terzi»”) non lo consente. Quando le Autorità si sono rese conto della svista (v. circolare 43/E del 2009, pag. 25), vi hanno posto rimedio utilizzando il percorso più complicato: invece di togliere del tutto i vincoli alla regolarizzazione – cosa che si poteva fare anche con un comunicato stampa – hanno in primo luogo esteso in via interpretativa la facoltà di regolarizzazione ad altri nove Paesi (allegato alla circolare 43/E) e poi, dato che ciò non era sufficiente, hanno trovato un modo per far “rimpatriare” anche le attività detenute nei Paesi terzi, consentendo la cosiddetta “cartolarizzazione” delle attività non finanziarie (che ha incontrato ostacoli insormontabili nelle legislazioni estere) e il rimpatrio giuridico attraverso le fiduciarie.
    2) «Chi li ha riportati non deve fare nulla nella sua dichiarazione dei redditi; chi invece non li ha riportati ma li ha regolarizzati li deve indicare dall’anno successivo alla regolarizzazione senza rimpatrio» (Davide). Questa è l’essenza del sistema del monitoraggio fiscale e dello scudo fiscale. Le attività amministrate da intermediari finanziari italiani (rimpatriate) non sono soggette all’obbligo di indicazione nel modulo RW a differenza di quelle tenute all’estero. Ma questa regola ha un importante corollario: l’esonero dal modulo RW è conseguenza del fatto che l’intermediario è responsabile di applicare, ove previsto, il prelievo fiscale, d’acconto o d’imposta, sui redditi prodotti da tali attività e di comunicare al fisco i redditi non assoggettabili a tassazione alla fonte. Per questo, con un integrazione alle istruzioni al modello 770, gli intermediari sono stati obbligati ad utilizzare il codice O, nel quadro SO, per dichiarare i proventi derivanti dalle attività patrimoniali amministrate; un obbligo, per inciso, non previsto dalla legge (cfr. articolo 10, comma 1 del Dpr. 461 del 1997). In pratica, un sistema legale nato per consentire il rimpatrio giuridico delle sole attività finanziarie è stato forzato, in via amministrativa, allo scopo di estendere il rimpatrio giuridico anche alle attività non finanziarie.
    3) «Il monitoraggio è attività da regolare amministrativamente» (Raffaello Lupi). Tutto questo non poteva essere fatto per legge in quanto mancava il tempo e il clima politico non era adatto. E così lo si è fatto con una circolare che è riuscita in un’impresa impossibile allo stato attuale delle conoscenze scientifiche: far “riportare” in Italia anche interi fabbricati situati dall’altro lato del mondo. La circolare, anche se non trova fondamento diretto nella legge, ha una sua legittimazione nell’esigenza di rimediare ad una svista del legislatore, poco attento al diritto comunitario. Ciò dovrebbe essere sufficiente, è certamente vero, ad escludere l’applicabilità di qualunque sanzione. A chi ha rimpatriato. Resta il problema delle responsabilità accollate alle fiduciarie in caso di omessa compilazione del modulo SO e alle difficoltà con cui riusciranno a reperire le informazioni necessarie per adempiere all’obbligo che, ripeto, non deriva dalla legge. Ma questo è un problema delle fiduciarie che, volendo – concorrenza a parte – potevano anche rifiutarsi di ricevere dichiarazioni di rimpatrio di beni patrimoniali.
    Io, però, considerato il valore che i giudici, in questo periodo, attribuiscono alle circolari, la propensione dei verificatori ad essere formali quando conviene, il fatto che comunque il rimpatrio giuridico dei beni patrimoniali non consente alcun anonimato dato che l’intermediario compila il quadro SO e il cliente deve indicare i redditi delle attività patrimoniali nella propria dichiarazione, la penso come Kaiser e sono propenso a seguire un’altra saggia massima: “Nel più sta il meno” (Silvio Moroni). E credo che, al lato pratico, compilare il modulo RW possa servire ad evitare una seccatura in più.
    Marco Piazza

  8. Raffaello Lupi scrive:
    Scritto il 24-10-2010 alle ore 12:02

    marco, pragmaticamente, e poi su una materia che non conosco granchè, mi sembra molto ragionevole l’idea di fare comunque il quadro RW. A proposito bisognerebbe riflettere sulle implicazioni della lista falciani in termini di monitoraggio…può accadere che qualche romantica donna inglese trasferitasi in italia perchè “molto pittoresca” sia titolare senza saperlo di qualche conto svizzero apertole dal marito riccone e residente all’estero….se viene fuori grazie alla lista falciani, come la mettiamo con le sanzioni sul monitoraggio?..

  9. Marco Piazza scrive:
    Scritto il 2-11-2010 alle ore 00:14

    Scusa Raffaello, non mi sono ancora abituato al mezzo di comunicazione bloggistico.
    Quello che descrivi è ovviamente un caso limite perchè le banche svizzere sono soggette come le nostre all’obbligo di identificare personalmente i clienti e quindi non dovrebbero aprire un conto corrente ad un soggetto incosapevole.

    Ma i casi di residenti titolari di attività all’estero senza saperlo -o sapendolo, ma non sapendo a quanto ammontano e quanto rendono – ce ne sono tanti, come è emerso in occasione dello scudo fiscale. Molti colleghi hanno avuto a che fare con persone che da anni ricevono un assegno da un trust estero senza riuscire ad avere un rendiconto dal trustee e senza riuscire ad avere una copia dell’atto istitutivo da cui possano capire se sia un trust trasparente o opaco, che tipo di redditi abbia il trust e se essi siano o meno prodotti in Italia; tutti elementi indispensabili per la dichiarazione dei redditi (e non solo per la compilazione del modulo RW). In un simile contesto dovrebbe essere facile dimostrare che il trust non è interposto, ma se si tratta di un trust trasparente, occorre sapere se vi siano redditi da dichiarare in Italia da parte del beneficiario.
    Vi è anche il caso delle eredità contese di fronte a giudici esteri, o quello dei conti cointestati all’estero che sia stati fraudolentemente depauperati da uno dei cointestatari o dal gestore o, per una serie di circostanze vi sia una controversia per accertare chi sia l’effettivo titolare di determinate partecipazioni societarie.
    In tutti questi, ed altri casi simili, pare evidente che non sia possibile applicare le sanzioni al contribuente che abbia omesso di compilare il modulo RW e di dichiarare redditi prodotti, ma non entrati nella disponibilità del contribuente.
    Se non bastasse il buon senso, mi chiedo se non sia utilizzabile “al contrario” la giurisprudenza della Cassazione che ha sancito l’obbligo di compilare il modulo RW a carico di coloro che pur non essendo titolari del conto ne abbiano la disponibilità o la possibilità di movimentazione (v. sentenze della Cassazione, Sezione tributaria, dell’11 giugno 2003, n. 9320 e del 21 luglio 2010, nn. 17051 e 17052). In fondo, l’Agenzia delle Entrate con la circolare 45/E del 2010 ha affermato, in relazione a tale giurisprudenza, che il soggetto che abbia la delega ad operare su un conto intestato a terzi è tenuto alla compilazione del modulo RW per l’indicazione dell’intera consistenza del conto corrente detenuto all’estero e dei relativi trasferimenti, MA SOLO qualora si tratti di una delega PRELIEVO e non soltanto di una mera delega ad operare per conto dell’intestatario.
    Nei casi sopra descritti, il soggetto può forse essere considerato titolare di un’attività all’estero, ma certamente non ha la disponibilità né la possibilità di movimentazione, né tanto mento quella di “prelevarla”.
    Semprechè l’Amministrazione e i giudici applichino correttamente i meccanismi dell’onere della prova: l’eventuale presunzione che il titolare di attività all’estero non possa non saperlo in molti casi appare superabile esibendo la documentazione relativa alle liti in corso (con i parenti, gli ex soci, il trustee, ecc.). Altre volte, però, è più difficile far valere la propria buona fede.

Scrivi il tuo commento!

  • abuso del diritto, Agenzia Entrate, attività all'estero, azioni, C-525/11, Cassazione 7080 2012, Cassazione 8982 2011, Cassazione 32091 2013, CFC, circolare Agenzia Entrate 28/E 2012, commercio internazionale, Dpr. 642/72; fiduciarie, evasione fiscale, fiscalità internazionale, fondazioni, holding CFC socio persona fisica, imposta di bollo, imposta patrimoniale, IMU, indicatori anomalie professionisti, intermediari finanziari, IVAFE, iva intracomunitaria, IVIE, Mednis, modulo RW, operazioni sospette, partecipazioni, provvedimento 5 giugno 2012, quadro RW, quote di srl, reati tributari, regolarizzazione, residenza fiscale, riciclaggio, rimborsi Iva, rimpatrio, scudo fiscale, società, società a ristretta base familiare, società controllate estere, sostituto d'imposta, stabile organizzazione, trust, voluntary disclosure
  • HOME |
  • FISCO |
  • DIRITTO |
  • LAVORO |
  • IMPRESA |
  • SICUREZZA |
  • AMBIENTE
  • Chi è postilla |
  • I blogger |
  • Blog Policy |
  • Diventa Blogger |
  • Chi siamo |
  • Contatti |
  • Privacy |
  • Note Legali |
  • Policy cookie |
  • Pubblicità
 X 

P.I. 10209790152

Postilla è promossa da: IpsoaIl FiscoCedamUtetIndicitalia