1 luglio 2015
Voluntary disclosure e operazioni sospette
E’ ormai praticamente certo che i professionisti saranno di fatto obbligati a segnalare le voluntary disclosure all’Ufficio Informazione Finanziaria (UIF).
Anche se in forma dubitativa, questa è anche la conclusione dell’Assonime nella circolare 16 del 2015, che ha il pregio di dare una chiave di lettura all’equivoca FAQ del 23 gennaio 2015 pubblicata sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e all’altrettanto equivoca circolare del 9 gennaio 2015, confermata nella risoluzione 7-00584 approvata dalla VI Commissione della Camera il 17 febbraio 2015.
I principali elementi di valutazione sono i seguenti:
1) l’articolo 57 del D. Lgs 231 del 2007 stabilisce che «salvo che il fatto costituisca reato, l’omessa segnalazione di operazioni sospette è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dall’1 per cento al 40 per cento dell’importo dell’operazione non segnalata. Nei casi piu’ gravi, tenuto conto della gravita’ della violazione desunta dalle circostanze della stessa e dall’importo dell’operazione sospetta non segnalata, con il provvedimento di irrogazione della sanzione è ordinata la pubblicazione per estratto del decreto sanzionatorio su almeno due quotidiani a diffusione nazionale di cui uno economico, a cura e spese del sanzionato;
2) l’articolo 41 del D. Lgs 231 del 2007, secondo cui anche i professionisti devono fare una segnalazione di operazione sospetta (SOS) all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo;
3) il concetto di “operazioni di riciclaggio” è – a questi fini – molto ampio e comprende (articolo 2, lettera b) del D. Lgs 231/2007 «l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprieta’ dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività»;
4) come insegna il caso eredi Rovelli anche chi all’epoca in cui suo padre aveva commesso un reato,aveva 14 anni può essere consapevole, in età adulta, del fatto che il denaro ereditato proviene da un reato e quindi può aver commesso riciclaggio;
5) l’articolo 12, comma 2 del D. Lgs. 231 del 2007 prevede un esonero dall’obbligo di segnalazione di operazioni sospette per le informazioni che i professionisti «ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso».
6) Nella FAQ del 23 gennaio 2015, il MEF fa capire che:
(i) «l’esonero di cui all’art. 12 co. 2 del D.Lgs. 231/2007 non si estende quindi a tutti i casi di consulenza ma solo a quelli collegati a procedimenti giudiziari»;
(ii) ma, gli obblighi antiriciclaggio si applicano solo al momento in cui si concretizza, con il conferimento dell’incarico al professionista, il rapporto tra quest’ultimo e il soggetto al quale sarà resa la prestazione professionale. Infatti, la definizione di “cliente” contenuta nell’articolo 1, comma 2, lettera e) del d.lgs. 231, definisce tale il soggetto al quale “…, i destinatari indicati agli articolo 12 e 13 rendono una prestazione professionale a seguito del conferimento di un incarico”;
(iii) pertanto, nell’ipotesi in cui all’attività del professionista limitata alla valutazione circa l’opportunità, per il suo assistito, di accedere o meno alla procedura di voluntary disclosure non segua il conferimento dell’incarico, non sussistono gli obblighi antiriciclaggio.
L’Assonime fornisce una “traduzione” della sintetica risposta a arriva alle seguenti conclusioni:
– con la FAQ del 23 gennaio, «il Ministero dell’Economia ha inteso ‘allentare’ la pressione sui professionisti, precisando che gli obblighi antiriciclaggio sorgono solo dal “momento in cui si concretizza, con il conferimento dell’incarico al professionista, il rapporto tra quest’ultimo e il soggetto al quale sarà resa la prestazione professionale” e che quindi, tali obblighi non sono ravvisabili nella fase di istruttoria preliminare che precede il conferimento formale dell’incarico. Quanto sopra, nelle intenzioni del MEF, avrebbe dovuto risolvere il problema sollevato dai professionisti, dal momento che – una volta che l’incarico sia stato affidato e la procedura sia stata attivata – si sarebbe resa applicabile automaticamente la ‘copertura’ prevista dall’art. 5-quinquies, comma 3, del D.L. n. 167 del 1990 sia per i principali reati tributari che per i delitti di riciclaggio e autoriciclaggio»;
– tuttavia, nella stessa FAQ, il MEF ha anche precisato che «lo specifico esonero dall’obbligo di segnalazione delle SOS (…) non può «ritenersi esteso a tutti i casi di consulenza “ma solo a quelli collegati a procedimenti giudiziari»;
Pertanto, secondo l’Assonime, una volta esclusa l’operatività della scriminante dell’esercizio del diritto di difesa, la questione continua a presentare dubbi e incertezze applicativi. Infatti, la complessità dei calcoli che il professionista è tenuto a fare e la delicatezza dei documenti che deve acquisire prima di riuscire a definire – con sufficiente precisione – i costi di attivazione della procedura comportano, di necessità, che il conferimento formale dell’incarico debba avvenire prima che il contribuente assuma la decisione definitiva in ordine alla opportunità di aderire o non aderire alla voluntary disclosure. Con la conseguenza, che in sede di espletamento dell’incarico, potrebbero delinearsi operazioni sospette da segnalare a carico di clienti che resterebbero privi di ‘copertura’ qualora poi costoro decidessero di non presentare l’istanza.
Così, come riferisce l’Assonime, queste incertezze «hanno indotto molti grandi studi a esercitare oltre confine le principali attività istruttorie di definizione dei costi della procedura» (si tratta evidentemente su studi che ritengono che per violare una norma italiana sia sufficiente commettere la violazione all’estero).
Il tema merita, per l’Assonime, qualche ulteriore approfondimento.
In attesa dell’approfondimento, si può concludere che l’esonero dall’obbligo di segnalare le operazioni sospette previsto dall’articolo 12, comma 2 del D. lgs. 231 del 2007 sia una coperta troppo corta anche se non si capisce perché, secondo il MEF – nonostante la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-305/05 – un professionista a cui un cliente descriva un suo determinata operazione da cui sono conseguiti proventi e conferisca l’incarico di studiarne le conseguenze penali anche per sapere se i relativi proventi possano costituire oggetto di riciclaggio e per suggerirgli eventuali comportamenti miranti ad evitare il conseguente procedimento giudiziario (o più probabilmente di ottenere sconti di pena attraverso un comportamento collaborativo) debba, appena salutato il cliente, trasmette una SOS all’UIF, con il rischio di compromettere i benefici di un tempestiva resipiscenza del cliente.
Date queste incertezze, è forse più prudente cercare di capire, caso per caso, se vi siano motivi ragionevoli per sospettare che che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni miranti all’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprieta’ dei beni
o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività.
L’articolo 41 del decreto legislativo 231 del 2007 chiarisce che «il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico. E’ un elemento di sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti di cui all’articolo 49, e, in particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro». Di norma, l’esame di una pratica di VD mette in evidenza più di uno degli indici di anomalia descritti nel decreto del Ministero della Giustizia 16 aprile 2010 e nelle comunicazioni UIF del 23 aprile 2012 e del 2 dicembre 2013, consultabili sul sito dell’UIF nella sezione “Indicatori e schemi di anomalia“. Quando, infatti, le attività oggetto di emersione provengano da paesi non collaborativi o siano state detenute mediante interposizioni fittizie è difficile che non ci siano motivi ragionevoli di sospettare l’occultamento. Ci si deve quindi chiedere se gli importi occultati provengono da un reato. Concentrandosi sui reati tributari, le probabilità che si tratti di somme provenienti da un reato sono elevate. Basti pensare che la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false è un reato a prescindere dall’ammontare dell’imposta evasa e che la soglia di evasione “tollerata” nel caso di infedele dichiarazione è stata di 200 milioni di lire fino al periodo d’imposta 2010 ed è stata poi abbassata a 50 mila euro. In certi casi la sussistenza del reato può essere esclusa: ad esempio, se le somme originariamente costituite all’estero provengono da fonti trasparenti e i redditi di natura finanziaria prodotti da queste somme e non dichiarati sono stati sufficientemente bassi da non superare le soglie di evasione che fanno scattare il reato, si deve ritenere che il sospetto indotto dalla provenienza delle attività emerse sia posto nel nulla dalla certezza che non si tratti di importi rilevanti da punto di vista penal tributario. Lo stesso articolo 41 cita fra gli elementi da prendere in considerazione l’entità dell’operazione. Le probabilità che se i capitali sono piccoli i redditi evasi siano modesti sono elevate.
C’è però un ultimo tassello che non può essere trascurato sul piano pratico: è il diabolico intreccio fra i ruoli dei professionisti, degli intermediari finanziari e dell’Agenzia delle Entrate. Infatti:
1) l’intero sistema degli intermediari finanziari italiani sembra orientato a segnalare come operazioni sospette tutti i rimpatri (materiali o giuridici) , senza fare distinzioni in funzione dell’entità degli importi e di eventuali altri elementi che possano far ritenere che il “volontario” stia regolarizzando somme non provenienti da reati tributari. In altri termini, per gli intermediari l’indizio costituito dalla provenienza geografica delle attività sarebbe sufficiente per avere quel ragionevole sospetto che induce l’intermediario a fare la segnalazione. Si tratta di un comportamento spiegabile perché il dipendente di una banca, una Sim o una fiduciaria che ometta di effettuare una SOS rischia come minimo un provvedimento disciplinare, se non l’addebito della sanzione;
2) l’UIF ha l’abitudine di incrociare le SOS. Ad esempio, se il signor Rossi ha un conto presso la banca A e un’altro presso la banca B e se la banca A segnala Rossi perché il suo conto presenta movimenti anomali mentre la banca B non lo segnala perché il conto da lui intrattenuto presso tale seconda banca non presenta anomalie, l’UIC esige dalla banca B che sia spiegato il motivo per cui non abbia avuto “motivi ragionevoli per sospettare”. La banca B, quindi dovrà riprendere in mano il proprio processo di adeguata verifica e relazionare l’UIF sul proprio comportamento per evitare di incorrere nelle note sanzioni;
3) combinando 1) e 2), emerge chiaramente che lo sforzo del professionista di discriminare, all’interno delle VD quelle per le quali sia ragionevole sospettare da quelle per le quali non sia ragionevole sospettare non produrrà altro effetto che ulteriori guai (tempo per giustificarsi davanti all’UIC e, in certi casi, sanzioni e tempo costi per l’iter amministrativo e giudiziario conseguente).
Se quindi, come si teme, molti professionisti decideranno di segnalare “a tappeto” le procedure di voluntary disclosure ci si chiede, alla fine, chi subirà il maggior danno.
Non il cliente, per il quale questa SOS si aggiungerà semplicemente a quella dell’intermediario, quella dell’Agenzia delle Entrate (anch’essa soggetto obbligato) e alla segnalazione alla procura fatta dalla stessa Agenzia delle Entrate.
Parzialmente il professionista. il quale dovrà dedicare risorse qualificate (gli articoli 45 e 46 del D.lgs. 231 del 2007 impongono particolari obblighi di riservatezza e divieti di comunicazione al cliente a carico del professionista). Si deve tener conto che la procedura per effettuare le SOS è tutt’altro che banale. Occorre accedere al portale internet INFOSTAT – UIF ed addentrarsi in un percorso che richiede, per uno specialista, almeno due ore di lavoro per ogni segnalazione.
Paradossalmente, la vera vittima della situazione che si stà creando è la UIF che sarà sommersa da SOS duplicate o triplicate (a volte ancora di più perché l’operazione potrebbe coinvolgere più professionisti e più intermediari). Dall’ultima relazione annuale, risulta che gli addetti della UIF erano, nel 2013, 125 con la capacità di analizzare 657 segnalazioni a testa all’anno e che le SOS pervenute nel 2013 sono state 64.601. Pare quindi che i margini per far fronte alla piena siano piuttosto ridotti. Aggiungiamo che la UIF deve dare un “flusso di ritorno” agli intermediari finanziari (v. i documenti FATF GAFI, Raccomandazioni del 2012, par. 34; Guida all’approccio basato sul rischio del 2007, par. 1.33 e Guida all’approccio basato sul rischio per le professioni legali del 2008, par. 69 e ss.). Il riscontro serve agli intermediari non solo per affinare le proprie procedure, ma per aggiornare i propri archivi. Non risulta che, fino ad ora, gli intermediari abbiano ottenuto questi riscontri, nonostante l’articolo 48, comma 1 del D. Lgs. 231 del 2007 lo preveda anche se limitatamente alle procedure archiviate. Ma pare che la UIF si sia impegnata, per il futuro, a provvedere.
Quando e con quali risorse, lo si vedrà.