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Il Blog di Marco Piazza

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Postilla » Fisco » Il Blog di Marco Piazza » Commercio e fiscalità internazionale » Società esterovestite regolarizzate

6 novembre 2017

Società esterovestite regolarizzate

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La collaborazione volontaria ha portato a fare emergere diversi casi società esterovestite. La società che ha aderito alla procedura, regolarizzando la propria posizione fiscale,  ha senz’altro cominciato a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia come una qualsiasi società residente. Nella maggioranza dei casi, una volta chiusa la procedura, si è provveduto a trasferirne la sede legale in Italia così da assoggettarla esclusimente alla legge italiana. Spesso però è accaduto che si sia mantenuta la sede legale all’estero, venendosi così a trovarsi in una situazione di doppia residenza fiscale e, dal punto di vista civilistico, di doppia nazionalità.

Queta ultima situazione dovrebbe indurre ad una duplice riflessione:

  • la prima è che lo status di doppia residenza fiscale comporta di norma una doppia tassazione; doppia tassazione che può a volte essere evitata, ufficializzando, ove possibile, il trasferimento della sede dell’amministrazione in Italia e avvalendosi, ove esistenti, delle convenzioni contro le doppie imposizioni che prevedono che la società abbia residenza fiscale nello Stato in cui si trova la sua “direzione effettiva”. La scelta richiede un approfondimento sulla legislazione dello Stato estero in cui la società è stata costituita, dato che potrebbe legittimamente applicare qualche forma di exit tax e che spesso, se la società non è stata costituita in Europa dove il trasferimento di sede è tutelato dal principio di libertà di stabilimento (Corte di Giustizia, sentenze, C­212/97; C-208/00; C-167/01; C-106/16) il trasferimento è ostacolato anche sul piano civilistico;
  • la seconda è che se nella collaborazione volontaria si è ammesso che la sede della direzione effettiva della società è in Italia, devono esserci indizi riscontrabili dai terzi che la sede dell’amministrazione della società in senso civilistico si trova in Italia. Ciò significa che la società è di fatto soggetta alla legge nazionale.

L’articolo 25, comma 1 della legge 218 del 1995, infatti, dopo aver stabilito, nel primo periodo, il principio che le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione, ne attenua la portata, nel secondo periodo, sancendo che «si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti».

In dottrina[1] è considerato pacifico che il secondo periodo non riguardi le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato europeo e aventi sede sociale, amministrazione centrale o centro d’attività principale all’interno della Ue, sia pure quando esercitino la propria attività esclusivamente nel territorio italiano, perché una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con la libertà di stabilimento[2]

Lo stesso criterio interpretativo vale per le società dello Spazio economico europeo e nelle società costituite in Stati con i quali l’Italia ha un trattato che preveda il riconoscimento reciproco delle società[3].

Sorprende, dunque, l’ordinanza della Cassazione Sez. Unite, 19 gennaio 2017, n. 1312, riferita ad un regolamento di giurisdizione in una causa civile in cui l’attore intendeva ottenere il riconoscimento che fosse apocrifa la firma della procura, conferita ad un fiduciario estero, per la costituzione di una società lussemburghese amministrata da soggetti residenti in Italia ed avente come unico oggetto la gestione di immobili siti in Italia. L’Ordinanza perviene alla conclusione che, per effetto dell’articolo 25 in commento, il giudice competente è quello italiano, mentre ci si sarebbe aspettati che il giudice competente fosse quello lussemburghese, tralasciando ogni considerazione sull’applicazione nel caso concreto del diritto unionale.

Ciò premesso, una prima conseguenza dell’assoggettamento delle società costituite all’estero, ma con sede dell’amministrazione o oggetto principale in Italia è l’obbligo di iscrizione della società nel registro delle imprese. Infatti, l’articolo 7, comma 2, numero 6) del Dpr. 581 del 1995 elenca fra i soggetti che devono iscriversi al registro delle imprese «le società che sono soggette alla legge italiana ai sensi dell’art. 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218» e le istruzioni ai moduli S1, S2 ed S3 da utilizzare per le iscrizioni, modifiche e cancellazioni dal Registro Imprese precisano che essi vanno utilizzati anche per le società con sede legale estera non solo nei casi in cui abbiano una sede secondaria o un ufficio di rappresentanza in Italia, ma anche quando vi abbiano la sede amministrativa l’attività principale.

La mancata osservanza degli obblighi di pubblicità, secondo la dottrina, può comportare, oltre alle moderate sanzioni pecuniarie previste per l’omissione, anche conseguenze con riferimento alla responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali di coloro che agiscono in nome della società (art. 2508 del codice civile)[4]

Da ciò l’opportunità di regolarizzare la posizione della società anche dal punto di vista civilistico iscrivendola al Registro delle imprese.

Un problema che potrebbe porsi è se il fatto che la legge applicabile alle società costituite all’estero con sede dell’amministrazione o oggetto principale in Italia siano soggette alla legge italiana comporti che la loro forma giuridica debba essere regolata dalla legge italiana e più in generale se lo statuto debba essere uno di quelli tipici italiani. In giurisprudenza (Appello Milano, 14 gennaio 2000) è stato affermato che la personalità giuridica di un ente straniero va valutata – secondo le regole del diritto internazionale privato (art.25 L. 31.5.1995 n. 218) – in base alla legge del territorio nel quale è stato costituito; ma la sentenza non riguarda un ente con sede dell’amministrazione o oggetto principale in Italia. In dottrina si afferma che l’applicazione della legge italiana non esclude comunque la persistenza dello statuto personale straniero se il Paese dell’incorporazione non lo fa venir meno (T. Ballarino, Manuale breve di Diritto internazionale privato, 2007, pag. 125). Uno studio del Notariato Studio n. 283-2015/I), trattando del caso di trasferimento in Italia della “sede principale” di una società costituita all’estero – dopo aver affermato, condivisibilmente, che «occorre (…) garantire il rispetto dell’art. 25 della legge 218/1995 che, pur accogliendo il principio della legge dello stato di costituzione, precisa che si applica la legge italiana qualora la sede dell’amministrazione sia situata in Italia ovvero se in Italia si trovi l’oggetto principale della società – conclude che «è necessario, quindi, che lo statuto della società trasferita, da iscrivere nel registro delle imprese, contenga disposizioni conformi alle norme inderogabili dell’ordinamento italiano, quali, in particolare, l’adozione della disciplina di uno dei tipi sociali previsti dal nostro ordinamento», facendo pensare che non possano essere iscritte al registro delle imprese società costituite all’estero che non abbiano adottato uno dei “tipi” previsti dalla legge italiana. Questa necessità, peraltro, non pare prescritta nel documento congiunto Unioncamere – Consiglio nazionale del Notariato «Trasferimento sede sociale all’estero». Ciò pare indirettamente confermato, per quanto possa essere d’aiuto, anche dal fatto che la tabella “Forma giuridica – Sezione ordinaria R.I” allegata alle specifiche tecniche relative alla modulistica di iscrizione, variazione dati e cancellazione dal registro delle imprese, istituisce un apposito codice (“SS”) per individuare le “società costituita in base a leggi di altro Stato”.

Si è quindi nel complesso propensi a ritenere che in tutti i casi in cui la società trasferisca in Italia la sola sede dell’amministrazione senza perdere la nazionalità dello Stato estero in cui si è costituta possa mantenere lo statuto originario purché non contenga disposizioni in contrasto che le norme imperative italiane.

Solo se le società costituite all’estero sono di tipo diverso da quelli previsti dal codice civile italiano sono in tutto soggette alle norme delle società per azioni per ciò che riguarda gli obblighi relativi all’iscrizione degli atti sociali nel registro delle imprese e alla responsabilità degli amministratori (art. 2509 del codice civile). Un corollario è che, secondo le istruzioni del registro delle imprese sul deposito dei bilanci (modulo B) i «le società costituite all’estero che sono di tipo diverso da quelli regolati dal codice civile, sono soggette, per ciò che riguarda gli obblighi relativi all’iscrizione degli atti nel R. I., alle norme della società per azioni (art. 2509 c.c.). Le stesse sono, pertanto, tenute al deposito del bilancio riferito alla società estera (casa madre), unitamente alla relazione sulla gestione (se prevista) alla relazione del collegio sindacale (se previsto), alla relazione del revisore o della società di revisione (se esistente)». Le istruzioni, poi forniscono istruzioni di dettaglio sui documenti in lingua straniera e sull’attestazione dell’avvenuta pubblicità del bilancio nello Stato della sede o dell’insussistenza di tale obbligo.

Nonostante sull’effettivo campo di applicazione dell’articolo 2509 del codice civile esistano numerose incertezze in dottrina, prevale l’orientamento che la norma riguardi solo società che manifestano un collegamento con il territorio dello Stato in quanto vi hanno una sede secondaria oppure la sede dell’amministrazione oppure l’oggetto principale, e comunque abbia carattere residuale (anche perché di portata oggettivamente limitata agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e alla responsabilità degli amministratori) e quindi non riguardi le società estere a cui già si applica l’articolo 25 della legge 218 del 1995. L’applicazione “forzosa” delle norme sulle società per azioni è quindi circoscritta alle società «non assimilabili ad alcun tipo di ente collettivo italiano» (v. L. Enriques, Società costituite all’estero in “Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca», 2007, pag. 82 e pagg. 86 e ss.) non riguardi quelle il cui statuto, anche se non basato sul codice civile italiano, consenta di trovare una corrispondenza con uno dei tipi di società italiana.

Un caso particolare molto frequente è quello in cui la società esterovestita abbia una forma giuridica corrispondente a quella della società semplice italiana. Le società semplici costituite in Italia sono iscritte, ai sensi dell’articolo 2, comma 1 del Dpr. 588 del 1999 in una sezione speciale del registro delle imprese. L’iscrizione ha funzione di pubblicità notizia (articolo 8, comma 5 del Dpr. 580 del 1993). L’articolo 18 del Dpr. 581 del 1995 dispone che la domanda di iscrizione delle società semplici è presentata dagli amministratori, corredata del contratto sociale, e deve comprendere le seguenti indicazioni: a) il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, la cittadinanza, la residenza anagrafica e il numero di codice fiscale dei soci; b) la ragione sociale e il codice fiscale della società; c) i soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società; d) la sede della società e le eventuali sedi secondarie; e) l’oggetto sociale; f) i conferimenti di ciascun socio ed il relativo valore; g) le prestazioni alle quali sono obbligati i soci d’opera; h) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite; i) la durata della società. Gli amministratori della società semplice devono richiedere l’iscrizione delle modificazioni del contratto sociale e dello scioglimento della società con l’indicazione delle generalità degli eventuali liquidatori, entro trenta giorni dalle modificazioni e dallo scioglimento. In caso di contratto verbale, la domanda di iscrizione o di modificazione o di cancellazione della societa’ semplice deve essere sottoscritta da tutti i soci.

Se la società semplice è invece costituita all’estero, ma ha la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’attività in Italia (caso tipico delle esterovestizioni), non pare possa essere iscritta nella Sezione Speciale, bensì nella Sezione Ordinaria, insieme alle “Società costituite in base a leggi di altro Stato” (codice SS). A prescindere dalla collocazione della società nelle Sezioni del Registro delle imprese, una questione riguardante le società semplici esterovestite che non pare abbia ancora dato luogo ad approfondimenti è se dal punto di vista civilistico rientrino fra le società costituite all’estero di tipo diverso da quelle regolate dal codice civile che sono assimilate alle società per azioni dall’articolo 2509 del codice stesso. Per i motivi sopra illustrati si deve ritenere di no in tutti i casi in cui l’atto costitutivo della società estera sia assimilabile a quello di una società semplice italiana. Questo pare, dal punto di vista fiscale, anche l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate (circolare 27/E del 2015, risposta 2.10) che, con riferimento alla regolarizzazione di una SCI monegasca considerata non interposta, ma fiscalmente residente in Italia ha affermato che “una SCI “esterovestita”, è di fatto ad una società semplice italiana e, come tale, deve richiedere un codice fiscale italiano secondo le modalità ordinarie, indicando quale natura giuridica quella delle Società semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5, comma 3, lettera b), del TUIR.

Si verifica quindi una distonia: la società è iscritta al Registro delle imprese nella Sezione ordinaria, come se si trattasse di un’impresa commerciale, ma è considerata fiscalmente come una società semplice che, per definizione, non esercita attività commerciali.

 

[1] V. articolo 54 del Trattato su funzionamento dell’Unione europea. V. anche T. Ballarino, Manuale breve di Diritto internazionale privato, 2007, pag. 125; A. Santa Maria, Diritto commerciale europeo, 2008, pag. 108 – 109; E. Gambaro, Commento all’articolo 2508 del codice civile in “Codice Civile – Commentario. Delle società costituite all’estero, 2013, pag. 75; L Enriques, Società costituite all’estero, in “Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca», 2007, pag. 3 e ss..

[2] Cfr. le sentenze della Corte di giustizia C­212/97, C-208/00, C-167/01e C-106/16, citate.

[3] L Enriques, Società costituite all’estero, cit., pag. 3 e ss..

[4] V. T. Ballarino, Manuale breve di Diritto internazionale privato, 2007, pag. 125

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Un commento a “Società esterovestite regolarizzate”

  1. Commercialista Milano scrive:
    Scritto il 13-10-2018 alle ore 09:55

    La questione dell’esterovestizione delle società ultimamente è finita nell’occhio del ciclone dell’agenzia entrate. Molti imprenditori spesso non sono nemmeno coscienti dei rischi che corrono quando costituiscono una società all’estero, e spesso la colpa è dei consulenti che sottovalutano i rischi dell’operazione

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  • abuso del diritto, Agenzia Entrate, attività all'estero, azioni, C-525/11, Cassazione 7080 2012, Cassazione 8982 2011, Cassazione 32091 2013, CFC, circolare Agenzia Entrate 28/E 2012, commercio internazionale, Dpr. 642/72; fiduciarie, evasione fiscale, fiscalità internazionale, fondazioni, holding CFC socio persona fisica, imposta di bollo, imposta patrimoniale, IMU, indicatori anomalie professionisti, intermediari finanziari, IVAFE, iva intracomunitaria, IVIE, Mednis, modulo RW, operazioni sospette, partecipazioni, provvedimento 5 giugno 2012, quadro RW, quote di srl, reati tributari, regolarizzazione, residenza fiscale, riciclaggio, rimborsi Iva, rimpatrio, scudo fiscale, società, società a ristretta base familiare, società controllate estere, sostituto d'imposta, stabile organizzazione, trust, voluntary disclosure
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