9 febbraio 2018
Scambio di informazioni (CRS) ed RW: molte false anomalie
Tantissimi contribuenti hanno ricevuto comunicazioni dall’Agenzia delle Entrate in cui si fa sapere che risultano investimenti all’estero, segnalati dalle autorità fiscali dei Paesi aderenti al sistema multilaterale di scambio automatico d’informazione, che non sono stati indicati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
Nella stragrande maggioranza dei casi, però, sono false anomalie perchè si tratta di attività finanziarie detenute per il tramite di intermediari finanziari italiani. In base all’articolo 4, comma 3 del Dl. 167 del 1990 non vi è quindi obbligo di compilare il RW.
Questo passo falso non solo rafforza l’opinione, già radicata, che il fisco italiano, tenda a prendersela soprattutto con i contribuenti in regola, ma rischia di far sì che le risorse (scarse) dell’Agenzia e della Guardia di Finanza siano impegnate in massa in indagini infruttuose.
Il problema è all’esame della Direzione Centrale Accertamento e delle associazioni di categoria degli intermediari finanziari, soprattutto Assofiduciaria, ma non è facilmente risolvibile.
Andando con ordine, ci sono vari tipi di incroci di dati fatti dal “cervellone” dell’Anagrafe tributaria:
– incrocio fra i flussi inviati dagli intermediari italiani sui bonifici da e verso l’estero e il quadro RW;
– incroci fra il quadro RW dell’anno prima e quello dell’anno dopo;
– incroci fra i flussi informativi derivanti dallo scambio di informazioni secondo il Common reporting standard (CRS) e il quadro RW
I primi sono spesso infruttuosi perché i bonifici da e verso l’estero possono derivare da investimenti o disinvestimenti di attività finanziare e patrimoniali o incassi e corresponsioni di redditi o donazioni “informali”, ma spesso sono inerenti operazioni non rilevanti dal punto di vista fiscale oppure derivano da errori commessi dagli intermediari che hanno segnalato anche bonifici relativi ad investimenti in custodia o amministrazione con opzione per il regime del risparmio amministrato o relativi a redditi di capitale assoggettati a ritenuta.
I secondi sono andati a colpire per lo più chi ha aderito alla collaborazione volontaria compilando il quadro RW solo per il 2015 e non per il 2016, avendo nel frattempo affidato in amministrazione le attività regolarizzate ad intermediari finanziari italiani.
Ma l’effetto più dirompente è stato quello dovuto al CRS.
Specie gli intermediari lussemburghesi, infatti, hanno comunicato i titolari effettivi di investimenti in attività finanziarie lussemburghesi senza filtrare quelli detenuti per il tramite di istituzioni finanziarie italiane, soprattutto le fiduciarie.
E’ così accaduto che l’Agenzia abbia ricevuto anche segnalazioni di quote di fondi comuni d’investimento e contratti assicurativi sottoscritti attraverso fiduciarie o banche italiane e da queste amministrate.
La Direzione centrale accertamento, che non poteva prevedere che la raccolta dei dati oggetto di scambio da parte degli intermediari esteri fosse fatta in modo così superficiale, non li ha “filtrati” con quelli risultanti all’Anagrafe di rapporti finanziari italiana (anche perchè sarebbe stato comunque difficile trovare corrispondenze significative) è si è limitata a spedire decine di migliaia di lettere a contribuenti in perfetta buona fede.
Non si sa se per caso o per merito, lo scambio automatico ha però messo a segno qualche buon colpo.
Per esempio, ha stanato qualche irregolarità “coperta” dallo scorso spirito di collaborazione degli Stati Uniti. Un rapporto finanziari intrattenuto presso una banca americana da un residente in Italia per il tramite di una società offshore di norma sfugge alla FACTA perché l’intermediario finanziario americano si limita a censire fiscalmente il titolare del conto e non il titolare effettivo e perché la società offshore non detiene conti in Paesi aderenti al CRS. Nonostante questo, alcuni contribuenti italiani hanno ricevuto la lettera dell’Agenzia delle Entrate. Come mai? Perché nel dossier detenuto presso la banca americana c’erano fondi comuni lussemburghesi che sono stati segnalati dalle autorità del Principato.
La compagine sociale di molte holding lussemburghesi i cui proprietari non erano noti al fisco italiano ora è diventata trasparente, nonostante si tratti di holding rimpatriate con gli scudi fiscali, amministrate fiduciariamente in regime di segretazione. Questo semplicemente perchè la holding detiene un conto corrente presso un intermediario finanziario residente in uno Stato che aderisce allo scambio automatico (ad esempio, un banca lussemburghese). In questo modo anche molti trust esteri con disponenti o beneficiari italiani, diventeranno noti al fisco italiano anche in assenza di iniziative della trust company.
Tornando alle comunicazioni del fisco, il contribuente ha davanti a se diverse opzioni:
– sicuramente accedere al ravvedimento operoso se si rende conto di aver violato la norma (costerà di norma molto di meno dell’istallazione di un contenzioso);
– nel caso, invece, in cui sia in regola con il fisco, può: (i) chiedere o fornire informazioni alla Direzione provinciale; il rischio, però, è di anticipare l’avvio di una verifica fiscale individuale (genuinità della polizza, fonte di capitali, ecc.); (ii) rispondere genericamente che gli investimenti all’estero sono detenuti mediante intermediario italiano, senza indicare entità e tipologia degli investimenti; in questo caso, in linea teorica, la Direzione provinciale dovrebbe coordinarsi con la Guardia di finanza e verificare in Anagrafe tributaria se vi è coerenza fra il dati del rapporto comunicato dal cliente e le informazioni CRS tralasciando le indagini meno proficue; (iii) ignorare la comunicazione, scelta che comunque non compromette in alcun modo qualsiasi futura linea difensiva.