18 maggio 2018
Quadro RW e trust: un rapporto complicato
Da quando, con il Dl. 97 del 2013 , è stata introdotta la commistione fra norme fiscali e norme antiriciclaggio, è diventato molto difficile individuare i soggetti obbligati alla compilazione del quadro RW nei casi in cui trust residenti o non residenti detengano attività finanziarie o patrimoniali all’estero. Ma ora che, ai fini della disciplina antiriciclaggio, è stata aggiornata (ampliandola) la nozione di “titolare effettivo” dei trust (articolo 1, comma 2, lettera pp) e articolo 22, comma 5 del D. Lgs. 231 del 2007 come modificato dal D. Lgs. 90 del 2017) l’intero meccanismo è destinato ad avvitarsi su sè stesso, con pregiudizio non solo per i contribuenti (già abituati), ma anche per l’efficacia dell’azione accertatrice.
A partire da UNICO 2014 le persone fisiche, le società semplici e gli enti non commerciali residenti in Italia devono compilare il quadro RW non solo se detengono attività all’estero, ma anche se sono “titolari effettivi” ai sensi della normativa antiriciclaggio di trust residenti o non residenti che, a loro volta detengano attività all’estero (cosiddetto look through). Quest’obbligo è stato introdotto nell’articolo 4, comma 1 del Dl. 167 del 1990 dal Dl. 97 del 2013 norma presentata come semplificatoria (serviva a scongiurare una procedura d’infrazione della Commissione europea), ma che, come spesso accade, si è rivelata più invasiva della precedente.
Come si è detto, già nel 2013 si è cominciato a non capire quali fossero i “titolari effettivi” dei trust e dunque chi dovesse indicare le loro attività all’estero nel quadro RW e in quale misura. La legge, i provvedimenti attuativi, le istruzioni al quadro e la prassi amministrativa dicevano (e dicono) cose diverse, difficilmente conciliabili e comunque incomplete.
Fino al 2017 (anno della riforma della disciplina antiriciclaggio), per individuare i titolari effettivi dei trust si doveva fare riferimento all’articolo 2 dell’allegato tecnico al D. Lgs. 231 del 2007 secondo il quale, in caso di trust e fondazioni, i titolari effettivi erano:
1) se i futuri beneficiari erano già stati determinati, la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25 per cento o più del patrimonio dell’entità giuridica;
2) se le persone che beneficiano dell’entità giuridica non erano ancora state determinate, la categoria di persone nel cui interesse principale era istituita o agiva l’entità giuridica;
3) la persona fisica o le persone fisiche che esercitavano un controllo sul 25 per cento o più del patrimonio dell’entità giuridica.
Per l’effetto combinato delle norme citate (art. 4, comma 1 del Dl. 167 del 1990 e articolo 2 dell’allegato tecnico al D. lgs. 231 del 2007), risultava che i soggetti tenuti ad indicare le attività detenute all’estero da un trust nei rispettivi quadro RW erano:
– il trust stesso, se residente in Italia;
– i beneficiari determinati o le categorie di beneficiari – se persone fisiche, società semplici o enti commerciali residenti – nel caso fossero beneficiari di almeno il 25% del patrimonio e indipendentemente dalla residenza del trust;
– le persone fisiche, società semplici o enti commerciali residenti che esercitavano il controllo su almeno il 25% del patrimonio del trust indipendentemente dalla residenza del trust.
Lasciò perplessi soprattutto il fatto che fra i soggetti obbligati vi fossero anche le classi di beneficiari non ancora determinati.
Il direttore dell’Agenzia delle Entrate emanò un provvedimento attuativo il 18 dicembre 2013.
Ma il provvedimento:
– ripeteva pedissequamente la definizione di titolare effettivo contenuta nella legge, moltiplicando inutilmente le fonti normative;
– precisava, ma era già chiaro dal testo della legge, che ai fini dell’individuazione del “titolare effettivo” rilevano in ogni caso gli investimenti all’estero o le attività estere di natura finanziaria detenute, direttamente e indirettamente, dalle entità giuridiche, diverse dalle società, quali fondazioni e trust, indipendentemente dallo Stato di residenza dell’entità”.
– precisava – o meglio “disponeva” – che, per la verifica della percentuale rilevante, le partecipazioni possedute dal coniuge dai parenti entro il terzo grado e dagli affini entro il secondo dovevano essere cumulate, nonostante ciò non fosse previsto dall’allegato tecnico citato ai fini dell’antiriciclaggio.
Inoltre, il provvedimento conteneva una frase piuttosto misteriosa: “In caso di trust trasparente, il trustee è tenuto ad individuare i titolari effettivi degli investimenti e delle attività detenuti all’estero dal trust e comunicare ai medesimi soggetti i dati utili per consentire loro la compilazione del quadro RW (tra cui la quota di partecipazione al patrimonio, gli investimenti e le attività estere detenute anche indirettamente dal trust e la relativa valorizzazione)”.
A parte che non si dovrebbe parlare di “titolari effettivi” delle attività detenute all’estero dal trust, ma di titolari effettivi del trust che detiene le attività all’estero, molti si sono chiesti come gli estensori del provvedimento abbiano potuto immaginare che un trustee non soggetto alla legge italiana potesse sentirsi obbligato a comunicare ai titolari effettivi del trust (che spesso, nel caso dei beneficiari, sono ignari di esserlo) i dati utili per porre in essere un adempimento tutto italiano. Si è anche osservato che il provvedimento non fornisce una definizione del concetto di “trust trasparente” ai fini del quadro RW e che la nozione non è presente in alcuna norma di legge. All’epoca ne parlava solo la circolare 48/E del 2007 con riferimento all’articolo 73, comma 2 del Testo unico il quale dispone che nel caso in cui i beneficiari del trust siano “individuati” i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o da altri documenti successivi o in mancanza in parti uguali. La circolare 48/E, in proposito distingue:
– i trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari (trust trasparenti)
– dai trust senza beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust medesimo (trust opachi).
La circolare 61/E del 2010 (riprendendo la risoluzione 425/E del 2008) precisa che i “beneficiari di reddito individuato”, sono i soggetti che esprimano, rispetto a reddito del trust, una capacità contributiva attuale e quindi che non solo sono puntualmente individuati, ma che risultano titolari del diritto di pretendere dal trustee il pagamento di quella parte di reddito che viene loro imputata. In questa prassi si fa riferimento solo ai “beneficiari individuati” del reddito del trust, non anche ai beneficiari determinati del patrimonio del trust. Il concetto è ribadito nella circolare 38/E del 2011.
Inoltre il provvedimento non spiegava (e non spiega) quale comportamento si debba tenere se il trust non è trasparente.
Le incertezze causate dal provvedimento non sono risolte dalle istruzioni al quadro RW che liquidano l’intera tematica con il seguente “chiarimento”: “Se il contribuente è “titolare effettivo” di attività estere per il tramite di entità giuridiche, diverse dalle società, quali fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, il contribuente è tenuto a dichiarare il valore degli investimenti detenuti all’estero dall’entità e delle attività estere di natura finanziaria ad essa intestate, nonché la percentuale di patrimonio nell’entità stessa. In tale ipotesi rilevano, in ogni caso, sia gli investimenti e le attività estere detenuti da entità ed istituti giuridici residenti in Italia, sia quelli detenuti da entità ed istituti giuridici esteri, indipendentemente dallo Stato estero in cui sono istituiti”.
Le istruzioni quindi confermano che l’approccio look through riguarda sia i titolari effettivi di trust italiani sia quelli di trust esteri e specificano che deve essere indicata la percentuale di patrimonio del trust riferibile al titolare effettivo, ma non fanno cenno alla distinzione fra trust trasparente e trust non trasparente.
Nella confusione prodotta dalla legge e dal provvedimento, la circolare 38/E del 2013 compie un notevole sforzo di razionalizzazione.
La circolare, in primo luogo, ricorda che i trust opachi e trasparenti residenti in Italia, non fittiziamente interposti, sono in linea di principio tenuti agli adempimenti di monitoraggio fiscale per gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria da essi detenuti.
Poi definisce il concetto di “trust trasparente”, precisando che è quello in cui il reddito o il patrimonio (o parte di esso) sono direttamente riferibili a soggetti titolari del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione degli stessi (i cosiddetti “beneficiari individuati“). Quindi, ai fini del quadro RW, è trasparente anche il trust nel quale i beneficiari hanno il diritto di pretendere l’assegnazione del patrimonio. Ma i non addetti ai lavori potrebbero chiedersi: un trust in cui il beneficiario hanno un diritto attuale di pretendere il patrimonio non è, per caso, un trust interposto?
La circolare, inoltre, afferma (almeno così sembra) che nel caso di trust trasparenti residenti in Italia gli obblighi di monitoraggio delle attività estere ricadono sul trust (sempreché sia un ente non commerciale):
– per tutte le attività detenute all’estero, se nessuno dei beneficiari riveste la qualifica di “titolare effettivo” ai sensi della normativa antiriciclaggio
– limitatamente alle attività estere non attribuibile ai “titolari effettivi” se alcuni beneficiari sono titolari effettivi ed altri no
Aggiunge che:
a) con riferimento ai trust italiani:
– qualora il “beneficiario individuato” (in base ai canoni sopra delineati) sia il “titolare effettivo” (secondo la legge antiriciclaggio e il provvedimento del 18 dicembre 2013) delle attività estere detenute dal trust residente, lo stesso è tenuto ad indicare nel quadro RW il valore delle attività estere nonché la percentuale di patrimonio ad esso riconducibile.
– e se i soggetti residenti in Italia sono titolari effettivi dell’intero patrimonio del trust, quest’ultimo è esonerato dalla compilazione del quadro RW.
b) con riferimento ai trust esteri:
– i “beneficiari individuati” residenti in Italia sono tenuti al monitoraggio delle attività detenute all’estero dal trust quando sono “titolari effettivi”;
– i “beneficiari individuati” di un trust estero che non siano “titolare effettivi” devono indicare nel quadro RW il valore della quota di patrimonio del trust ad essi riferibile.
La circolare precisa, inoltre, che la titolarità effettiva del trust non può essere attribuita al trustee posto che quest’ultimo amministra i beni segregati nel trust e ne dispone secondo il regolamento del trust o le norme di legge e non nel proprio interesse.
Chiarisce opportunamente che nel caso in cui i beneficiari del trust non siano ancora determinati, non possono essere considerati “titolari effettivi” ai fini del quadro RW dato che la dizione “categoria di persone” non consente di individuare puntualmente un soggetto tenuto all’obbligo di monitoraggio. Quindi il quadro RW deve essere compilato dal trust, ricorrendone i presupposti, cioè se il trust è residente e detiene attività all’estero.
Dispone, infine che il “titolare effettivo” del trust deve indicare nel quadro RW le attività estere che il trust detiene non solo direttamente, ma anche per il tramite di altri soggetti esteri situati in Paesi non collaborativi e fintantoché si configuri la titolarità effettiva degli investimenti.
Sembrava quindi che i beneficiari di un trust dovessero indicare le attività detenute all’estero dal trust (secondo l’approccio look through) solo qualora fossero contemporaneamente soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
– sono persone fisiche, società semplici o enti non commerciali residenti in Italia
– sono “beneficiari individuati”, ossia sono puntualmente individuati e sono titolari del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione dei redditi o del patrimonio nelle misure definite dall’atto istitutivo o da altra documentazione;
– sono “titolari effettivi”, ossia sono beneficiari di almeno il 25% del patrimonio tenendo conto, per le persone fisiche, dei diritti posseduti dal coniuge dai parenti entro il terzo grado e dagli affini entro il secondo.
Restava fermo che i beneficiari individuati di un trust estero che non fossero “titolare effettivi” dovevano indicare nel quadro RW solo il valore della quota di patrimonio del trust ad essi riferibile senza adottare l’approccio look through.
La quota di attività detenute all’estero da un trust residente che non veniva dichiarata dai beneficiari individuati titolari effettivi doveva essere indicata nel quadro RW del trust.
Per esclusione, era quindi possibile sostenere che fossero esonerati dall’obbligo di compilazione del quadro RW:
– i beneficiari dei trust opachi residenti in Italia
– i beneficiari individuati di trust (trasparenti) residente in Italia che non siano anche titolari effettivi
– i beneficiari di trust opachi residenti all’estero, anche se sono “beneficiari determinati” ai sensi della normativa antiriciclaggio.
Nulla viene detto, nella circolare e nelle istruzioni, con riferimento ai residenti che esercitano il controllo sul 25 per cento o più del patrimonio dell’entità giuridica, fra i quali possono annoverarsi, in certi casi i protector e i disponenti.
In questo contesto di inserisca la nuova definizione di “titolare effettivo” del trust introdotta nell’articolo 1, comma 2, lettera pp) e nell’articolo 22, comma 5 del D. Lgs. 231 del 2007. La norma infatti considera “titolari effettivi” del trust (usando termini impropri e con una sintassi difficile) il fondatore, il fiduciario o i fiduciari, il guardiano ovvero altra persona per conto del fiduciario, ove esistenti, i beneficiari o classi di beneficiari e le altre persone fisiche che esercitano il controllo sul trust e qualunque altra persona fisica che esercita, in ultima istanza, il controllo sui beni conferiti nel trust attraverso la proprietà diretta o indiretta o attraverso altri mezzi. Si tratta di una incomprensibile trasposizione dell’articolo 3, n. 6, lett. b) della direttiva (UE) 2015/849 già tradotta pessimamente in italiano nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della UE, ma che nel testo inglese recita:
(i) the settlor;
(ii) the trustee(s);
(iii) the protector, if any;
(iv) the beneficiaries, or where the individuals benefiting from the legal arrangement or entity have yet to be determined, the class of persons in whose main interest the legal arrangement or entity is set up or operates;
(v) any other natural person exercising ultimate control over the trust by means of direct or indirect ownership or by other means.
Come si può notare, questa definizione si differenzia dalla precedente per l’eliminazione di qualsiasi soglia quantitativa riguardo alla percentuale di patrimonio riferibile l titolare effettivo.
Poichè il nuovo articolo 4, comma 1 del Dl. 167 del 1990 richiama indirettamente (attraverso l’articolo 1, comma 2 lettera pp) il nuovo articolo 22, comma 5 del D. Lgs. 231 del 2007, ma il provvedimento del 18 dicembre 2013 non è stato modificato (quindi contiene ancora la soglia percentuale del 25%) sorge spontanea la domanda: il mancato aggiornamento del provvedimento è conseguenza di una mera dimenticanza o è l’espressione della volontà dell’Agenzia di non tradurre negli obblighi di monitoraggio la più ampia definizione di titolare effettivo prevista dal recepimento della direttiva UE?
Considerate le sanzioni previste in caso di incompleta redazione del quadro RW, si può immaginare che molti contribuenti propenderanno, prudenzialmente, per la prima ipotesi.
L’effetto sarà che gli Uffici assisteranno alla moltiplicazione dei patrimoni indicati nei quadro RW dei contribuenti, dato che tutti i disponenti e i protector indicheranno nel loro quadro RW l’intero patrimonio all’estero dei trust (anche per evitare discordanze fra il loro quadro RW e le comunicazioni provenienti dal Common Reporting Standard – CRS), e i verificatori avranno un bel da fare ad interpretare le informazioni ipertrofiche immagazzinate nel cervellone dell’Anagrafe.
Inoltre, a causa della scomparsa delle soglie non dovrebbe più verificarsi il caso di “beneficiario individuato” che non sia “titolare effettivo”; per cui non dovrebbe presentarsi il caso in cui il beneficiario individuato di un trust estero, anziché utilizzare l’approccio look through, indichino solo il valore della quota di patrimonio del trust.
Scritto il 7-12-2018 alle ore 00:36
È corretto sostenere, al netto di tutte le incertezze citate, che il fondatore di trust o fondazione estera, che non ne sia evidentemente beneficiario, è tenuto a compilare il quadro RW solo a partire da Unico2018?
Scritto il 25-12-2018 alle ore 10:15
Sì è corretto.
E’ comunque il caso di conservare evidenza del fatto che il trust non abbia avuto le caratteristiche dei trust interposti (v. circolare 61/E del 2010) e che il disponente o fondatore non abbia esercitato il controllo sul patrimonio del trust e che quindi non sia stato comunque “titolare effettivo” in base all’articolo 2 dell’allegato tecnico al D. Lgs. 231 del 2007 ora abrogato.
La prova della sussistenza di questi presupposti è a carico dell’Ufficio, ma sulla ripartizione dell’onere della prova c’è sempre molta confusione.
Sul tema oggetto del blog segnalo l’ottimo Documento di Studio n. 1/2018, “Obblighi di compilazione del quadro RW e titolare effettivo” redatto dalla Commissione Wealth Planning dell’Ordine dei Commercialisti di Milano (novembre 2018).
Scritto il 11-1-2019 alle ore 14:49
Se un soggetto italiano acquista immobili in italia per tramite di una società estera, è tenuto alla compilazione del quadro RW? E’ a conoscenza di giurisprudenza sul punto?
Grazie in anticipo per la risposta!