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Il Blog di Marco Piazza

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Postilla » Fisco » Il Blog di Marco Piazza » Commercio e fiscalità internazionale » Ricadute del divieto di abuso sui sostituti d’imposta

5 marzo 2019

Ricadute del divieto di abuso sui sostituti d’imposta

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La sentenza della Corte di giustizia del 26 febbraio 2019 sulle cosiddette “cause danesi” (Cause riunite C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16) è molto chiara nel sancire il divieto generale di abusare del diritto dell’Unione europea.

In particolare, viene ribadito che:

– nel diritto dell’Unione vige il principio generale di diritto secondo cui i singoli non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme del diritto dell’Unione (par. 96);

– in applicazione di questo principio generale, l’applicazione delle norme dell’Unione non può essere estesa sino a comprendere operazioni effettuate non nell’ambito di normali operazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione (par. 97);

– da tale principio discende che uno Stato membro deve negare il beneficio di disposizioni di diritto dell’Unione laddove queste vengano invocate non al fine di realizzare le finalità delle disposizioni medesime, bensì al fine di godere di un vantaggio derivante dal diritto dell’Unione sebbene le condizioni per poterne godere siano rispettate solo formalmente (par. 98).

– il principio del divieto delle pratiche abusive  trova applicazione indipendentemente dalla questione se i diritti ed i vantaggi oggetto dell’abuso trovino il loro fondamento nei Trattati, in regolamenti o in una direttive (par. 101)

– all’applicazione del principio generale di divieto delle pratiche abusive non può essere opposto il diritto dei singoli di trarre vantaggio dalla concorrenza che s’instaura tra gli Stati membri per effetto della mancata armonizzazione della tassazione dei redditi (par. 108); il contribuente  non può beneficiare di un diritto o di un vantaggio riconosciuto dal diritto dell’Unione mediante operazioni puramente artificiose sul piano economico e miranti ad aggirare la normativa di  Stato membro (par. 109);

– la ricerca, da parte di un contribuente, del regime fiscale più vantaggioso per il medesimo non può, di per sé, legittimare una presunzione generale di frode o di abuso (par. 109); è a carico dell’Amministrazione finanziaria la dimostrazione dell’esistenza la sussistenza degli elementi costitutivi di una pratica abusiva (par. 142; v. anche Causa C-6/16, Equiom).

Principi consolidati, ma ora calati in un caso concreto molto diffuso

Si tratta di principi consolidati nella giurisprudenza della Corte, con riferimento a diversi settori del diritto dell’Unione; ma in questo caso la Corte è particolarmente incisiva nella parte (par. 123 e ss.) in cui affronta il tema dell’individuazione degli elementi costitutivi di un abuso e di come tali elementi possano essere accertati.

Nel par. 124 viene precisato che la prova di una pratica abusiva richiede:

– da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non sia stato
conseguito e,

– dall’altra, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione per mezzo della creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.

Occorre quindi verificare la sussistenza degli elementi costitutivi della pratica abusiva attraverso l’esame di un complesso di fatti;   in particolare, occorre accertare se siano state realizzate operazioni puramente formali o artificiose prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale essenzialmente al fine di beneficiare di un indebito vantaggio (par. 125).

Nel caso specifico si trattava di verificare se vi fosse stato un abuso del diritto di beneficiare dell’esenzione da ritenuta degli interessi corrisposti da una società residente nella Ue ad una sua consociata ugualmente residente nella Ue, prevista dall’articolo 1, paragrafo 1 della direttiva 2003/49  “Interessi e royalties“.

A questo proposito, la Corte, nei par. 126 e seguenti, fornisce  indicazioni riguardo agli indizi utili per caratterizzare la pratica abusiva. In particolare:

– può essere considerato costruzione artificiosa un gruppo di società costituito non per motivi che riflettono la realtà economica bensì caratterizzato da una struttura puramente formale ed avente quale obiettivo principale ovvero uno degli obiettivi principali il conseguimento di un vantaggio fiscale in contrasto con l’oggetto o la ratio della normativa tributaria applicabile. Ciò si verifica, in particolare, quando, grazie ad un’entità interposta inserita all’interno della struttura del gruppo tra la società erogatrice degli interessi e la società del gruppo che ne è la beneficiaria effettiva, viene evitato il versamento di imposte sugli interessi stessi (par. 127);

– nel caso specifico della pagamento di interessi, costituisce un indizio dell’esistenza di una costruzione volta a beneficiare indebitamente dell’esenzione prevista dalla direttiva 2003/49 il fatto che gli interessi vengano ritrasferiti, integralmente o quasi ed entro un lasso di tempo molto breve successivo alla loro percezione, dalla società percettrice ad entità non rispondenti ai requisiti d’applicazione della direttiva 2003/49 vuoi perché non stabilite in alcuno Stato membro, vuoi perché non costituite in alcuna delle forme contemplate dalla direttiva de qua, vuoi perché non soggette ad alcuna delle imposte elencate all’articolo 3, lettera a), iii), della direttiva medesima senza beneficiare di un’esenzione, vuoi, ancora, in quanto prive dello status di società collegata ai sensi del successivo articolo 3, lettera b) (par. 128);

– la natura artificiosa di una costruzione può risultare avvalorata dalla circostanza che il gruppo di società in questione sia strutturato in modo tale che la società percettrice degli interessi  debba essa stessa ritrasferire gli interessi medesimi ad una terza società, non rispondente ai requisiti d’applicazione della direttiva 2003/49, con un margine insignificante, agendo da società interposta (par. 130);

– la circostanza che una società agisca come società interposta può essere accertata quando l’unica attività della medesima sia costituita dalla percezione degli interessi e dal loro successivo trasferimento al beneficiario effettivo o ad altre società interposte. L’assenza di un’effettiva attività economica dev’essere al riguardo dedotta, alla luce delle peculiarità che caratterizzano l’attività economica in questione, da un’analisi complessiva dei pertinenti elementi attinenti, in particolare, alla gestione della società, al suo bilancio d’esercizio, alla struttura dei suoi costi ed ai costi realmente sostenuti, al personale impiegato nonché ai locali ad alle attrezzature di cui dispone (par. 131);

– può  costituire indizio di una costruzione artificiosa la sussistenza di contratti infra-gruppo – tipo quelli di cui all’articolo 4 della direttiva – che possono avere ad oggetto il trasferimento  di utili da una società commerciale beneficiaria verso entità azioniste al fine di evitare o di ridurre al massimo gli oneri fiscali (par. 132);

– Possono essere parimenti assunti ad indizi della sussistenza di costruzioni artificiose le modalità di finanziamento delle operazioni, la valutazione dei fondi propri delle società intermediarie nonché l’assenza, nelle società interposte, del potere di disporre economicamente degli interessi percepiti. A tal riguardo, sono idonei a costituire indizi di tal genere non solo obblighi contrattuali o legali, per la società percettrice degli interessi, di ritrasferirli a terzi, ma anche il fatto che «fondamentalmente», la società medesima, pur in assenza di un obbligo contrattuale o legale di tal genere, non disponga del diritto di utilizzare dette somme e di goderne (par. 132).  Indizi di tale genere possono essere avvalorati da coincidenze o da contiguità temporali tra, da un lato, l’entrata in vigore di nuove normative tributarie che si tenti di eludere e, dall’altro, l’attuazione di operazioni finanziarie complesse nonché la concessione di finanziamenti all’interno di
uno stesso gruppo (par. 133).

Il coinvolgimento del sostituto d’imposta.

Questa sentenza – come quelle emanate nella causa C-6/16, Equiom e, con riferimento alla validità delle attestazioni rilasciate dal percettore del reddito nella causa C-553/16 – hanno la particolarità di rivolgersi al sostituto d’imposta tenuto ad operare una ritenta sui proventi. L’Amministrazione finanziaria, infatti, quando non ritiene che siano applicabili le esenzioni previste dalla legge interna, da diritto comunitario o dalle convenzioni contro le doppie imposizioni solleva la contestazione in primo luogo nei confronti del sostituto l’imposta (che è pagato il provento) considerando, in genere, il sostituito come “coobbligato” (v. per l’Italia l’articolo 35 del Dpr. 602 del 1973).

E’ ovvio, quindi che il sostituto d’imposta prima di applicare  una ritenuta ridotta o nulla debba dotarsi di documentazione idonea a provare la sussistenza dei requisiti per la spettanza del beneficio.

Di norma è considerata idonea l’acquisizione di una certificazione di residenza fiscale rilasciata dalle autorità estere accompagnata da un’attestazione del percettore del reddito riguardo alla sussistenza di tutte le altre condizioni previste dal trattato, dalla direttiva o dalla legge nazionale. Nel caso dell’esenzione sugli interessi corrisposti a consociate residenti nella UE, ad esempio, si considera sufficiente la produzione dell’autocertificazione di cui al modello F allegato al Provvedimento 10 luglio 2013.

Ma questa autocertificazione non contiene alcuna attestazione riguardo al fatto che la società estera che percepisce il reddito non faccia parte di una costruzione di puro artificio. Inoltre per il sostituto d’imposta non è facile acquisire le informazioni necessarie per potersi fare un’idea delle caratteristiche del percipiente, specie quando non si tratti, come può capitare del socio di controllo.

Il timore è quindi che a posteriori, la società italiana sia considerata responsabile per aver applicato indebitamente le esenzioni o riduzioni d’imposta previste dalla normativa nazionale in ottemperanza alle norme del Trattato o di direttive: ad esempio, oltre alle esenzioni di cui all’articolo 27-bis (“Madri e figlie”) , e 26-quater (“Interessi e royalties“) del Dpr. 600/73), anche – non si può escludere – l’articolo 27, comma 3-ter del Dpr. 600/73 (dividendi corrisposti a società residenti nella Ue.

In questo contesto diviene particolarmente delicata la posizione degli intermediari finanziari e dei professionisti, tenuto anche conto degli effetti della direttiva  (UE) 2018/822  del 25 maggio 2018 che prevede l’obbligo di notificare alle autorità fiscali  i meccanismi transfrontalieri potenzialmente “aggressivi”. L’obbligo decorre dal 1° luglio 2020, ma lo schema di decreto legislativo di attuazione prevede che la comunicazione riguardi i meccanismi di  di cui è stata avviata l’attuazione tra il 25 giugno 2018.  Fra gli elementi distintivi specifici collegati alle operazioni transfrontaliere vi sono i meccanismi che comportano una catena di titolarità legale o effettiva non trasparente, con l’utilizzo di persone, dispositivi giuridici o strutture giuridiche:

a) che non svolgono un’attività economica sostanziale supportata da personale, attrezzatura, attività e locali adeguati; e

b) che sono costituiti, gestiti, residenti, controllati o stabiliti in una giurisdizione diversa dalla giurisdizione di residenza di uno o più dei titolari effettivi delle attività detenute da tali persone, dispositivi giuridici o strutture giuridiche; e

c) in cui i titolari effettivi di tali persone, dispositivi giuridici o strutture giuridiche, quali definiti dalla direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio (“Antiriciclaggio”), sono resi non identificabili.

Il caso decritto è evidentemente patologico, specie con riferimento alla condizione sub c), ma la dettagliata descrizione fa pensare che ci si aspetti, dal lato del debitore, un livello di indagine, riguardo al percipiente, piuttosto approfondita.

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  • abuso del diritto, Agenzia Entrate, attività all'estero, azioni, C-525/11, Cassazione 7080 2012, Cassazione 8982 2011, Cassazione 32091 2013, CFC, circolare Agenzia Entrate 28/E 2012, commercio internazionale, Dpr. 642/72; fiduciarie, evasione fiscale, fiscalità internazionale, fondazioni, holding CFC socio persona fisica, imposta di bollo, imposta patrimoniale, IMU, indicatori anomalie professionisti, intermediari finanziari, IVAFE, iva intracomunitaria, IVIE, Mednis, modulo RW, operazioni sospette, partecipazioni, provvedimento 5 giugno 2012, quadro RW, quote di srl, reati tributari, regolarizzazione, residenza fiscale, riciclaggio, rimborsi Iva, rimpatrio, scudo fiscale, società, società a ristretta base familiare, società controllate estere, sostituto d'imposta, stabile organizzazione, trust, voluntary disclosure
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