17 giugno 2019
I conti in valuta delle branch all’estero
Le differenze di cambio iscritte in bilancio a fine esercizio in relazione ai conti correnti in valuta assumono rilevanza fiscale, mentre non rilevano, fino al realizzo, quelle sui debiti e crediti in valuta.
Lo ha confermato ‘l’Agenzia delle entrate in un incontro con la stampa specializzata tenutosi il 30 maggio scorso.
La risposta, si riferisce all’articolo 110, comma del TUIR in base al quale “la valutazione secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio dei crediti e dei debiti in valuta, anche sotto forma di obbligazioni, di titoli cui si applica la disciplina delle obbligazioni ai sensi del codice civile o di altre leggi o di titoli assimilati, non assume rilevanza”.
L’Agenzia conferma che “sulla base del tenore letterale della norma, devono ritenersi escluse dall’ambito di applicazione del regime di irrilevanza fiscale le valutazioni al cambio di fine esercizio della liquidità” detenuta dall’impresa, quali le valute detenute in cassa, nonché i saldi dei conti correnti bancari in valuta, le cui differenze, iscritte in conto economico, rilevano fiscalmente al pari di quelle realizzate”.
Il tema è ripreso in modo più articolato anche nella risoluzione 57/E del 2019 sul trattamento fiscale delle operazioni in valute estere nel bilancio.
Le due risposte costituiscono l’occasione per riprendere il tema del trattamento delle differenze di cambio nella contabilità delle stabili organizzazioni all’estero.
L’OIC 26 (versione dicembre 2016) affronta il tema nei par. 42 e 43.
La normativa fiscale – vi si legge — consente la tenuta della contabilità plurimonetaria nel caso in cui la società intrattiene in via continuativa scambi con Paesi che non adottano l’euro come moneta di conto, in ragione dell’oggetto della loro attività:
-sia attraverso stabili organizzazioni all’estero;
-sia direttamente.
La sistematicità dei rapporti intrattenuti induce queste società ad avvalersi di una vera e propria gestione in valuta, documentata con un’apposita contabilità sezionale. L’utilizzo di una specifica gestione implica che le operazioni compiute, qualunque ne sia la natura, siano rilevate direttamente in valuta.
La società che mantiene parte della propria contabilità in valuta può eseguire la conversione dei saldi a fine esercizio, adottando lo stesso metodo con cui si traduce il bilancio di una controllata estera ai fini del consolidamento. Per l’applicazione di tale metodo di traduzione si rinvia al principio OIC 17.
Come si può notare, il richiamo all’OIC 17 vale solo per le società che mantengono parte della propria contabilità in valuta. Le società che invece tengono anche la contabilità della stabile organizzazione in euro, effettuando le scritture contabili direttamente in euro non sono obbligate ad applicare l’OIC 17.
L’OIC 17 (versione dicembre 2016) regola la materia nei par. 122 e 128:
In base al par. 122, la traduzione di un bilancio espresso in valuta estera, ai fini della redazione del bilancio consolidato, si effettua utilizzando:
a) il cambio a pronti alla data di bilancio per la traduzione delle attività e delle passività;
b) il cambio in essere alla data di ogni operazione per le voci di conto economico e per i flussi finanziari del rendiconto finanziario; in alternativa, è ammesso, per motivi di ordine pratico, l’utilizzo del cambio medio dell’esercizio o di sotto-periodi dell’esercizio applicato alle operazioni e ai flussi finanziari intercorsi in quei sotto-periodi;
c) il cambio storico del momento della loro formazione per le riserve di patrimonio netto (diverse dalla riserva da differenze di traduzione).
L’effetto netto della traduzione del bilancio della società partecipata in moneta di conto si rileva in apposita “Riserva da differenze di traduzione”, nell’ambito del patrimonio netto consolidato (par. 123).
In caso di cessione parziale/totale dell’impresa estera, la relativa quota della complessiva riserva da differenze di traduzione va riclassificata in una riserva disponibile (par. 124).
Nel caso in cui una voce monetaria infragruppo possa essere sostanzialmente assimilata a un’estensione o una riduzione dell’investimento netto della controllante nell’entità estera, la relativa differenza di cambio si contabilizza nella voce “Riserva da differenze di traduzione”, nell’ambito del patrimonio netto consolidato (par. 128).
Rispetto alla precedente versione viene disposto che le poste del patrimonio netto sono convertite ai cambi storici al momento della formazione; quindi la riserva di traduzione appare come un posta di riequilibrio contabile per colmare la differenza fra il valore del patrimonio convertito ai cambi storci e quello dell’attivo netto convertito al cambio corrente) più che come una posta rettificativa.
Dal punto di vista fiscale, l’articolo 110, comma 2 del testo unico – così come modificato dall’art. 7-quater, comma 2, Dl. 22 ottobre 2016, n. 193 – stabilisce che la conversione in euro dei saldi di conto delle stabili organizzazioni all’estero si effettua secondo il cambio utilizzato nel bilancio in base ai corretti princìpi contabili e le differenze rispetto ai saldi di conto dell’esercizio precedente non concorrono alla formazione del reddito.
In altri termini, la riserva di traduzione appare come un posta di riequilibrio contabile per colmare la differenza fra:
– il valore dell’attivo netto convertito al cambio corrente alla data di chiusura dell’esercizio
– e quello delle riserve di patrimonio netto convertite al cambio storico al momento della loro formazione incrementato dell’utile dell’esercizio calcolato applicando ai componenti positivi e negativi in valuta il cambio puntuale o quello medio di periodo o sotto periodo.
Dal punto di vista fiscale, l’articolo 110, comma 2 del testo unico – così come modificato dall’art. 7-quater, comma 2, Dl. 22 ottobre 2016, n. 193 – stabilisce che la conversione in euro dei saldi di conto delle stabili organizzazioni all’estero si effettua secondo il cambio utilizzato nel bilancio in base ai corretti princìpi contabili e le differenze rispetto ai saldi di conto dell’esercizio precedente non concorrono alla formazione del reddito.
Più esattamente – come precisato dall’Assonime nella circolare circolare 27 del 2016 a pag. 17 — ai fini fiscali la conversione dei saldi di conto deve essere fatta utilizzando il cambio applicato dai principi contabili alle voci di conto economico (cioè quello del giorno dell’operazione o medio di periodo), così che ai fini fiscali i costi/ricavi delle gestioni contabili in valuta concorrono alla formazione dell’imponibile nell’ammontare che risulta dai cambi utilizzati in bilancio per il conto economico (cambi puntuali o medi di periodo), ossia per derivazione.
La riserva di traduzione, quindi viene completamente neutralizzata dal punto di vista fiscale, sia per la parte che accoglie le differenze di conversione che dipendono dalla quadratura tra conto economico e stato patrimoniale sia per il fatto sia per la parte che deriva dall’applicazione alle voci dell’attivo e del passivo già esistenti al termine dell’esercizio precedente di un tasso di cambio diverso rispetto a quello utilizzato in precedenza.
Ciò non toglie che all’atto della cessione o chiusura della stabile organizzazione oppure nel corso della sua esistenza quando si verifichino variazioni dell’investimento netto attraverso modifiche di voci monetarie o assimilate (e anche non monetarie se si applica la branch exemption, visto l’articolo 166-bis. comma 1, lettera d) si verificherà il realizzo della differenza cambi, fiscalmente rilevante. Non è stato chiarito, quale criterio di flusso applicare in caso di riduzione parziale dell’investimento netto costituito dal fondo di dotazione e dagli utili e perdite a nuovo della stabile organizzazione, il che può far ritenere che vi sia libertà di imputazione sia con riguardo alla distinzione fra utili a nuovo e fondo di dotazione, sia con rigurdo alla stratificazione temporale dei due componenti.
Un elemento positivo del vigente articolo 110, comma 2 del Testo unico è che nel momento in cui recepisce fiscalmente i criteri civilistici di gestione della traduzione dei conti in valuta della stabile organizzazione, implicitamente ammette che sia possibile adottare la soluzione alternativa (civilisticamente ammessa) di tenere direttamente al contabilità della stabile organizzazione in euro, senza far emergere, pertanto differenze di traduzione.
Ciò non toglie che all’atto della cessione o chiusura della stabile organizzazione oppure nel corso della sua esistenza quando si verifichino variazioni dell’investimento netto attraverso modifiche di voci monetarie o assimilate, si verificherà il realizzo della differenza cambi, fiscalmente rilevante. Non è stato chiarito, quale criterio di flusso applicare (cambio medio, Lifo o Fifo), in caso di riduzione parziale del fondo di dotazione.
Un elemento positivo del vigente articolo 110, comma 2 del Testo unico è che nel momento in cui recepisce fiscalmente i criteri civilistici di gestione della traduzione dei conti in valuta della stabile organizzazione, implicitamente ammette che sia possibile adottare la soluzione alternativa (civilisticamente ammessa) di tenere direttamente al contabilità della stabile organizzazione in euro, senza far emergere, pertanto differenze di traduzione.