11 settembre 2019
Dubbi inspiegabili sul trasferimento all’estero senza l’AIRE
Incomprensibile passo indietro dell’Agenzia delle Entrate sulla valenza delle convenzioni internazionali per la soluzione dei conflitti di residenza delle persone fisiche che si sono trasferiti all’estero senza essersi cancellati dall’Anagrafe dei residenti.
Apparentemente, infatti, la risposta 270 del 2019 sembra negarlo, nonostante solo qualche mese fa, la risposta 203 abbia affermato esattamente il contrario.
Come è noto, nell’ipotesi in cui un soggetto risulti residente fiscalmente sia in Italia sia in un altro Stato con il quale operi una convenzione contro le doppie imposizioni, il conflitto di residenza è risolto applicando le disposizioni contenute nel trattato.
Così, per stabilire la residenza di una persona fisica che pur essendo realmente emigrata abbia omesso di cancellarsi dall’Anagrafe dei residenti, si devono utilizzare i criteri individuati nell’articolo della convenzione dedicato alla definizione della residenza secondo i quali –nei trattati conformi al modello OCSE – la persona si considera residente:
a) nello Stato in cui dispone di un’abitazione permanente;
b) se ha l’abitazione permanente in entrambi gli Stati, in quello in cui le sue relazioni personali ed economiche sono più strette;
c) se non si può individuare tale Stato, in quello in cui “soggiorna abitualmente”;
d) se soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati, in quello della cittadinanza;
e) e in caso di doppia cittadinanza: accordo fra le autorità competenti.
Si tratta di un principio pacifico, ma una equivoca giurisprudenza della Cassazione ha indotto alcuni uffici a ritenere erroneamente che la mancata iscrizione all’Anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero costituisca presunzione assoluta di residenza in Italia.
A partire dalla sentenza n. 1215 del 1998, si è infatti consolidata la massima che l’iscrizione “nelle anagrafi della popolazione residente” deve ritenersi, in materia fiscale, dato preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione del soggetto passivo d’imposta. In altri termini in materia fiscale la forma è destinata a prevalere sulla sostanza nell’ipotesi in cui la residenza venga collegata al presupposto anagrafico.
A questa pronuncia si sono rifatte diverse successive sentenze dello stesso Collegio, fra le quali la n. 1783 del 1999; la n. 9319 del 2006, la n. 677 del 2015, la n. 21970 del 2015 e di recente l’ordinanza n. 16634 del 2018. Ma in quattro di queste sentenze riguardano soggetti emigrati in Stati con i quali era in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni (Stati Uniti nella sentenza n. 1783; Svizzera nella sentenza n. 677; Romania nella sentenza n- 21970 e Regno Unito, nella sentenza n. 16634) circostanza, questa determinante, ma del tutto trascurata sia nella descrizione dei fatti sia nella motivazione.
Peraltro, più attenta giurisprudenza di merito non ha mancato di evidenziare come l’accertamento della residenza fiscale del contribuente non possa prescindere dall’applicazione delle tie break rules previste dai trattati (cfr. ad esempio, Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 506 del 20 febbraio 2017 e 840 del 13 marzo 2018; Commissione regionale dell’Aquila, n. 614 del 5 luglio 2017; di Pescara, n. 475 del 17 maggio 2017; di Brescia, n. 4207 del 31 luglio 2014; della Commissione provinciale di Firenze n. 131 del 12 gennaio 2016;).
La risposta 203 del 2019 ha affrontato il tema per la prima volta in modo ufficiale, con riferimento ad un caso di trasferimento di residenza in Danimarca.
Ora, invece, la risposta 270, riferita ad un trasferimento di residenza fiscale nel Regno Unito, trascura completamente l’effettività del cambio di residenza ai sensi della convenzione, nonostante il fatto sia stato ampiamente e dettagliatamente descritto nel quesito.
Sembra però impossibile che l’Agenzia abbia una memoria così corta e anche che sia avvenuto un cambio di orientamento così radicale senza alcuna motivazione espressa nel testo della risposta.
L’unica spiegazione che si può dare è che sia sorto un equivoco sulla sussistenza del presupposto per l’applicazione della tie break rule: l’essersi verificato un fenomeno di doppia residenza fiscale del contribuente a causa del fatto che per la norma interna italiana il soggetto sia residente in Italia e per quella inglese sia residente nel Regno Unito.
L’equivoco può derivare dal fatto che il periodo d’imposta inglese non coincide con quello italiano (va dal 1° aprile di un anno al 31 marzo dell’anno successivo). Pertanto, ove il trasferimento avvenga prima che sia trascorsa la metà dell’anno solare, ci sarebbe un periodo di tempo in cui il reddito non sarebbe tassato né in Italia né in Inghilterra e quindi non vi sarebbe alcun motivo di applicare la fiscale.
Ma la risposta non contiene alcun esplicito cenno a questo problema. E quindi non si riesca a capire la reale motivazione delle conclusioni a cui è giunta l’Agenzia.
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